In bianco e nero

Pubblicato il 19 ottobre 2010 in Testimonianze

In bianco e nero

Io parlo italiano, ho la pelle chiarissima e i capelli rossi; la mia salute è delicata, patisco il caldo, non sono abituata ai lavori pesanti. Ho ventidue anni e nessun figlio, né famiglia a carico; neppure ho ancora iniziato a lavorare. Ho studiato dall’età di sei anni, frequentando tutti gli ordini scolastici; ho avuto la possibilità di fare sport e di scegliermi qualche hobby per il tempo libero. Abito in un appartamento spazioso e solido, fornito di elettricità e acqua corrente, e di altre diavolerie elettroniche di ogni sorta. Possiedo un gran numero di abiti, di ogni foggia, tessuto, colore, pesantezza, per ogni occasione e stagione; alcuni neanche li indosso più, ma restano comunque  appesi nell’armadio. Se ho appetito mangio, facendo anche più di tre pasti al giorno, e potendo scegliere ciò che mi piace e ciò che non mi piace; se ho sete posso aprire un rubinetto e bere, o prendere una bibita dal frigorifero. Quando vado a fare la spesa trovo nei supermercati alimenti confezionati iper-controllati, la cui provenienza e data di scadenza sono certificate; per strada non incontro nessun bambino sconosciuto che mi viene incontro a prendermi per mano e chiedermi una caramella; a malapena mi salutano timidamente quelli che conosco, in realtà. Nei negozi non contratto il prezzo della merce, ma pago direttamente l’importo indicato dal cartellino.

Non so neppure io cosa mi abbia spinto a decidere di andare in un Paese dove la gente parla francese, ha la pelle e i capelli nerissimi, fin da piccola è abituata a un clima afoso e umido, e in questo clima è abituata -anche in questo fin da piccola- a sgobbare per vivere; dove le ragazze della mia età sono già sposate e madri di famiglia, dove pochi hanno il privilegio di completare gli studi e scegliere un’attività in base alle proprie preferenze; dove si vive in capanne con il tetto di lamiera, stipati in ambienti soffocanti e bui, privi di tutti i comfort cui siamo abituati; dove i vestiti vengono barattati con i turisti per un sacchetto di noccioline o un paio di manghi, perché comprarsene di nuovi non è contemplato tra le spese del bilancio familiare; dove si mangiano, da una ciotola comune, riso e pesce bollito -la carne solo nelle occasioni speciali- un paio di volte alla settimana se si è fortunati; dove i generi alimentari si acquistano da bancarelle di strada, in confezioni sfuse, contrattando sul prezzo fino a ottenere una somma che ci si può permettere; dove un uomo bianco che cammina per strada è l’attrattiva più divertente per i bambini che abitano nel villaggio, perché l’uomo bianco è ricco, l’uomo bianco porta le caramelle, l’uomo bianco regala i vestiti, l’uomo bianco è “diverso” e solo i più coraggiosi ardiscono prenderlo per mano e accompagnarlo come conducendo un trofeo per le strade della propria città…

Non so bene cosa posso dire di aver portato e lasciato, in cosa realmente mi sono resa utile e ho sfruttato le mie capacità per aiutare un mondo così distante dal mio e -apparentemente- così bisognoso di tutto. Perché in due settimane abbiamo lavorato, mettendoci totalmente a disposizione e improvvisandoci tuttofare per qualsiasi necessità emergesse di volta in volta. Tuttavia, l’impressione è che si sia trattato solo di una goccia in un oceano: non solo per il confronto rispetto a tutto quello che ci sarebbe stato da fare; ma anche perché noi abbiamo lavorato con la nostra mentalità, occidentale, mentre qui si lavora con una mentalità totalmente diversa. E allora mi domando quanto potrà durare l’ordine che abbiamo cercato di esportare fino in Senegal; ma mi domando anche quanto potrebbe loro realmente servire… Mi consola il fatto che probabilmente la viviamo un po’ come una “sconfitta” solo noi, perché le persone che abbiamo incontrato sono state più che contente della nostra presenza e di ciò che abbiamo fatto.

Una cosa è certa: non è stato un viaggio inutile, comunque siano andate -e vadano in futuro- le cose. Se anche non ho portato e lasciato lì molto, da lì mi sono portata a casa tanto, più di quanto potessi aspettarmi. E già ho voglia di tornare, per tentare di saldare il mio debito.

 

di Stefania Mingozzi