L’Africa tra tangal, risate e … papaye

Pubblicato il 19 ottobre 2010 in Testimonianze

L’Africa tra tangal, risate e … papaye

di Gabriele Monguzzi

Non saprei dire il motivo che all’inizio mi convinse ad accettare di andare in Africa. Probabilmente i racconti di Vale, il fatto che lui andava e l’idea di andare con lui mi ispirava. Per me era la prima volta nel Continente Nero e, anche se tutti me ne parlavano bene, non avevo idea di cosa o come fosse finché non ci sono stato.

Gente strana, gli africani. C’è da dire che sanno arrangiarsi, una capacità che proviene da secoli di povertà e sfruttamento. Non sono abituati a chiedere aiuto, perché nessuno ha mai risposto in passato. Da poco sono più o meno indipendenti e questa giovinezza dello Stato e delle amministrazioni si vede ovunque a Dakar. L’episodio più emblematico e simpatico ci venne raccontato da Baye quando gli chiedemmo quanti anni avesse. Lui fece confusione tra 28 e 30 anni e ci disse che ne ha 30, ma 28 sul passaporto. Incontrò davanti a sé 8 facce incredule e perplesse così ci spiegò: “Io dopo 2 ani di scuola, il mio papa dici che non era buona e voleva cambiare, allora lui va a Dakar e dici che ho 2 ani meno… e loro cambia su documenti…“. Nonostante l’esauriente spiegazione, l’incredulità non andò via… In compenso ridemmo tutti e ancora oggi che scrivo un sorriso spontaneo mi scappa.

Baye è stato il senegalese che abbiamo conosciuto meglio e che ci ha istruito sulla cultura islamica, animista e africana. In famiglia sono quasi quaranta: un padre, quattro mogli, trentaquattro figli. Lui ha imparato a prendersi cura di sé stesso da subito. E’ stato il nostro Virgilio per tutta la vacanza: ci portava in giro, ci spiegava le cose, cercava per noi taxi e ristoranti oltre che aiutarci a comunicare in wolof. L’unico momento in cui non era con noi, a parte quando doveva lavorare per la scuola ad Oussouye, era il mattino. Baye al mattino dormiva, o almeno ci provava. Spesso infatti alle otto e mezza puntuale arrivava la chiamata di Gian Andrea al numero del povero Baye perché né Vale né la Franci avevano dietro il cellulare. Lui arrivava, consegnava il telefono a uno dei due, aspettava gentilmente che finissero di parlare e tornava a dormire. Se per miracolo i due Sormani avevano dietro il loro, lo incrociavamo che usciva per andare a fare delle faccende quando noi tornavamo a mangiare in albergo, verso mezzogiorno passato. Era comunque a tutti gli effetti uno del gruppo; quando tre giorni prima di noi partì per Dakar ci furono grandi saluti e tristezza in tutto il gruppo.

Ah, il gruppo. Soprannominato “I leggendari Gianandra’s“, capitanato da “les Président” Ste e formato da 8 membri (oltre a Baye), si è formato e affiatato con facilità. Già dopo un giorno a Dakar capii che mi sarei trovato bene e che gli aneddoti non sarebbero mancati. Potrei scrivere dieci pagine di episodi successi ma mi limiterò a quello storicamente più raccontato, quello della papaya. Stavamo aspettando di andare a mangiare davanti alla casa delle suore, quando mi venne uno dei miei soliti singhiozzi. Una ragazza senegalese, impietosita, mi fece intendere indicandomelo, che dovevo fumarmi un rametto di papaya, rimedio infallibile per il singhiozzo. Allora io (ancora mi chiedo perché) dissi a Vale:

Dai, vieni qui che ti salgo in spalla“.

Una volta su, lui mi disse:

Ora metti i piedi sulle spalle e sali, così ci arrivi“. Facile, no?

Per far forza e sollevarmi, presi un ramo (abbastanza grosso) di papaya. Solo dopo scoprii che la papaya è uno dei legni meno resistenti, quando mi si spezzò in mano e, ormai sbilanciati, rovinammo per terra all’indietro sull’unica striscia di cemento della Casamance. Ho ancora la cicatrice… Se non altro il singhiozzo passò. Il colmo fu che il ramo da fumare doveva essere secco, non attaccato alla pianta!

L’esperienza di gruppo è stata una parte tra le più belle del viaggio. Le sere a tavola a parlare fino a tardi, i racconti, il lavoro insieme sono solo alcuni dei ricordi più piacevoli che porto con me. E oltre a questi aneddoti ce ne sono altri milioni che ci hanno fatto ridere preoccupare e scherzare.

Il decimo elemento del gruppo era senza dubbio il Fiorino.  Compagno di mille viaggi, caricato all’inverosimile e guidato dallo chauffeur Vale, nonostante qualche giorno dal “dottore” l’ancien voiture è tornata più in forma che mai (anche se senza freni).

Un’altra cosa che porto con me ogni giorno dall’Africa sono i bambini, il loro sguardo ed il loro sorriso. Oltre a quelli dell’orfanotrofio di Oussouye, sempre allegri e con tanta voglia di giocare, ne incontrammo molti altri sul tragitto albergo-maternità dove elargivamo tangal (caramelle) ricevendo in cambio timidi sorrisi. Ci accompagnavano fino a destinazione facendoci compagnia e tenendoci per mano per poi tornare indietro.

Era impossibile non lasciarsi trasportare davanti all’affetto sincero che ci manifestavano.

I lavoretti che abbiamo fatto come imbiancare, cementare qualche buca e sistemare le lampade, nonostante occupassero buona parte della giornata, furono una piccola parte dell’esperienza, fatta principalmente di risate, emozioni e situazioni nuove.

Non so perché partii per l’Africa, ma so con certezza che ci tornerò e che mi porterò sempre con me quest’esperienza.