Visita all’isola di Carabane

Pubblicato il 3 gennaio 2007 in Lo SPIRITO dell'Africa

Oggi Clementine vuole farci un regalo: visita all’isola di Carabane sul fiume Casamance. Tutti pronti per partire ma capita l’imprevisto, Gianandrea ha 39 di febbre. Deve rinunciare al viaggio e Luisella rimane con lui. “Peccato, ci racconterete al ritorno” ci salutano amaramente.
Solito taxi, solita strada, questa volta però lungo il tragitto troviamo molte interruzioni per lavori. L’autista ci spiega che stanno lavorando per asfaltare la strada e sembra che siano decisi a farlo in modo spedito, visto l’ingente impiego di mezzi. “Come mai si sono mossi cosi all’improvviso?” chiediamo all’autista. “In primavera ci saranno le elezioni presidenziali” risponde. Tutto il mondo è paese!
Faccio una riflessione: oggi la strada, domani i turisti, i tour organizzati, l’inquinamento. Ma anche un po’ di benessere, lo sviluppo del commercio. Però con il benessere aumenterà il costo della vita e crescerà la disparità sociale, aumenterà la conflittualità, ci sarà meno solidarietà tra la gente del villaggio. Ed allora il Re non verrà più ascoltato, i pescatori non regaleranno più il pesce a Suor Clementine per i bimbi dell’orfanotrofio, la gente sarà meno sorridente. Forse esagero, ma sento che non vedrò più questa disastrata ma affascinante Africa.
Arrivati all’orfanotrofio i bambini ci corrono incontro per giocare e scattare foto “Alulùm Alulùm! Moi !”. E mentre cerchiamo di decifrare l’ennesima espressione in dialetto Diola, ecco la sorpresa! Vediamo arrivare un pick-up pieno di scatoloni: sono loro, i nostri pacchi! Padre Nicolas è riuscito a farli trasportare da un suo collega del seminario, anche lui di nome Nicolas. Consegnamo tutto a Clementine. Finalmente la missione pacchi è compiuta! Grazie, SPIRITO ma soprattutto grazie Clementine! E’ stata lei ovviamente ad organizzare tutto il trasporto dei pacchi così da poter sfruttare il pick up di Nicolas anche per lo spostamento a Carabane. Insomma, come dire: “Aiùtati, che il ciel ti aiuta!” Salutiamo i bambini “A ce soir!” e partiamo per Carabane su due mezzi, il taxi ed il più confortevole pick-up di Padre Nicolas. Salgo su quest’ultimo insieme a Clementine, Francesca e Franca: “La direzione”. Gli altri sul taxi. Non è una questione di privilegio: il viaggio durerà più di un’ora ed abbiamo un’occasione unica per parlare tranquillamente con Clementine dei programmi futuri. Discorriamo dei nuovi progetti per l’orfanotrofio, del materiale da procurare, dei bambini da adottare, della possibilità di farle fare un viaggio in Italia. Clementine ci fa presente le difficoltà ad avere il permesso dalla Casa Madre e studiamo una soluzione per poterla aiutare noi dall’Italia ad ottenere tali permessi.
Il paesaggio è molto bello, la vegetazione rigogliosa, enormi baobab e fromager ci accompagnano lungo il tragitto. Nicolas ci spiega che il Baobab è una fonte preziosissima di sostentamento per le popolazioni locali. Di questa straordinaria pianta si usa tutto: i frutti che oltre ad essere mangiati, possono essere utilizzati per ricavare una bevanda ed una farina per condire il cous cous, le foglie vengono consumate come verdura, i rami sono impiegati per costruire amache, il legno in edilizia essendo resistente all’attacco delle termiti. Arriviamo a Elinkine e di fronte a noi sulla riva del fiume vediamo un enorme albero. E’ LUI, quello del nostro volantino, quello che ha ispirato il nostro logo.
Prendiamo una piroga e ci dirigiamo verso l’isola di Carabane, dopo aver mostrato i nostri passaporti ad un posto di polizia sulla riva. La distesa d’acqua è enorme, ma veniamo a sapere che è solo un’ansa dell’ancor più grande fiume. Infatti dopo un quarto d’ora di navigazione appare il Casamance, tanto grande da non riuscire a vedere la sponda opposta. Sbarchiamo sull’isola. Spiaggia enorme e grandi palme, un paesaggio tropicale, da cartolina. Eppure solo fino a qualche secolo fa era un inferno. Su questa isola che domina l’estuario del Casamance sull’Atlantico venivano ammassati gli schiavi prima di essere imbarcati per le Americhe.

Si vede una chiesa antica di centinaia di anni, le prigioni degli schiavi e l’inquietante cimitero dei coloni francesi. Clementine ci mostra una tomba grottesca a forma di piccola piramide dove, dice, il comandante della guarnigione francese ha voluto essere sepolto in piedi insieme al suo cane. Sempre eccentrici questi Cugini, pensiamo, speriamo almeno che il cane fosse morto prima di lui. Tutto è abbandonato, diroccato ma allo stesso tempo selvaggio e affascinante. Nicolas ci spiega il suo rammarico: “Lo stato non fa niente, ma si potrebbe valorizzare questo posto che è la storia del nostro paese”. Purtroppo il Senegal ha ben altri problemi, ma concordiamo con Nicolas che la memoria storica è vitale per una nazione così come per tutto il mondo. Soprattutto se si tratta di una memoria universale come quella dello schiavismo e delle deportazioni. Del resto, davanti a certe realtà, ci imbarazza un po’ la nostra eredità di europei! Dopo aver pranzato sotto un fresco berço facciamo una passeggiata lungo la spiaggia tra mucche e maiali. Nicolas mi chiede un curioso favore: se al mio ritorno in Italia sia possibile inviargli un CD di canzoni tradizionali italiane. Senza lasciarmi sfuggire l’occasione, intono in suo onore sulla spiaggia “O Sole Mio!” con tanto di acuto finale di petto, ma mi manca la spalla, manca Gianadrea, accidenti! Del resto, davanti a certe realtà, si è sempre orgogliosi di essere italiani! Riprendiamo la piroga e ritorniamo sulla riva.
Il taxi che avrebbe dovuto aspettarci, è scomparso, ma nessun problema! Saliamo tutti sul furgone. Cristina e Giulia salgono sul cassone dietro, insieme a Clementine che insiste per lasciare agli altri il posto nell’abitacolo: è abituata, dice lei. Ormai non ci stupisce più niente di questa energica suora. Lungo il tragitto, incontriamo molta gente che cammina verso Oussouye. Percorreranno in tutta tranquillità più di 10 Km. Qui il principale mezzo di trasporto sono i piedi. Alcuni comunque insistono per avere un passaggio, ma Nicolas prosegue avendo cura di mostrare a tutti che il mezzo è pieno. “Se ci fosse posto, mi dovrei fermare, perché si potrebbero offendere” ci spiega, quasi intuendo la nostra perplessità da occidentali ognuno-per-sè-e-Dio-per-tutti. “Qui è scontato aiutarsi quando si può”. Ad un tratto incontriamo una famiglia, che cammina di gran lena. Tutti trasportano qualcosa, le donne sfilano eleganti e leggere tenendo in equilibrio oggetti di ogni genere sulla testa, mentre un bambino segue tutti cercando in qualche modo di tenere il passo e reggendo nella mano una buffa gallinella per le ali. Clementine sbattendo energicamente la mano sull’abitacolo grida a Nicolas “Arrêté! Seulement l’enfant!” Il nostro mezzo si ferma e carica il ragazzino più piccolo, del resto “non saranno venti chili di smilzo bambinetto con gallina a far fermare il pick up”. Infatti dopo appena 200 m la frizione si spacca di netto sotto il piede sinistro del povero Padre Nicolas, lasciandoci (tanto per cambiare) in panne in mezzo alla savana. Tutti tiriamo il solito sospiro rassegnato e ormai divertito. Tutti tranne il ragazzino, che capito l’andazzo, salta agilmente giù per la fiancata e si incammina senza fare una piega, con la sua bella gallinella in mano, cercando nuovamente di rincorrere i suoi. Cercando una soluzione al nostro problema suggerisco a Nicolas di inserire la 2° marcia e far muovere il furgone con il motorino di avviamento. Noi dietro a spingere (tanto per cambiare). L’operazione funziona, il mezzo si riavvia e balziamo al volo nel cassone posteriore, rinunciando a malincuore a raccattare di nuovo il ragazzino lungo la strada. Dopo pochi Km vediamo un furgone fermo sul tragitto senza carburante e strabordante di gente che chiede un passaggio o del gasolio. Nicolas sta volta ha un’altra vera scusante, “siamo al completo e la frizione è rotta”, urla dal finestrino! E’ sconsolante, sfigati che chiedono aiuto ad altri sfigati. Nicolas annuncia ironicamente che ha deciso di inserire la terza marcia. Ridendo e scherzando la marcia entra davvero ed improvvisamente la frizione inizia a funzionare. “Quando si è con i preti c’è sempre la provvidenza ad aiutarti” commenta Franca a Padre Nicolas, che sorride. Misteri africani!
E tra mille peripezie, eccoci finalmente arrivati all’orfanotrofio! Nicolas deve ripartire per Ziguinchor e Clementine, che come al solito ha già organizzato tutto, propone al prete, di portarsi dietro i ragazzi più grandi dell’orfanotrofio che il giorno seguente dovranno iniziare la scuola in città. Padre Nicolas però non è convinto e scherza “Credo che non si debba approfittare troppo della provvidenza!”. Ma alla fine cede e riparte con i più grandi alla volta di Ziguinchor. Nel frattempo ritroviamo tutti i nostri piccoli amici, “Alulùm, Alulùm!”. I bimbi corrono verso il pick-up ed incominciano a saltellare su e giù scatenati come non mai. Terance, uno dei più piccoli, con il suo sorrisino da furbetto che la sa lunga e gli occhietti vispi, allunga le mani verso Giulia. “Alulùm, moi” “Sì, sì alulùm!” rispondiamo, cercando di interpretare il loro desideri. Cristina e Francesca ridono: “Ma sapete cosa significa alulùm?”. “Durante lo scorso viaggio, ce lo siamo chiesto per giorni, finchè non abbiamo posto la domanda ad un ragazzo di Cap Skirring, che ovviamente è scoppiato in una grossa risata lasciandoci sempre più perplesse.” “Poi ci ha spiegato che semplicemente Alulùm significa “(uomo) bianco” in Diola. E pensare che noi continuavamo a rispondere “Alulùm, oui oui”, avranno pensato che siamo un po’ stordite!.”

Ma ormai l’allegria lascia il posto alla malinconia che velocemente ci assale. Il viaggio sta per finire e non sappiamo se domani riusciremo a tornare all’orfanotrofio per salutare i bambini. Francesca coccola Paulette e Jean, Flavia si spupazza Jean Bassene detto “Budino”, mentre Giulia stringe le guanciotte del tenero Barnabe. Cristina lascia a Bertrand a una foto ricordo scattata insieme durante il viaggio di Pasqua e il bimbo si precipita a nascondere il prezioso regalo sul fondo di un armadio polveroso. Tutti ci prepariamo in qualche modo a partire, mentre il cielo scurisce rapidamente come il nostro umore. Magicamente ricompare il taxi desaparecido e riprendiamo la nostra polverosa strada del ritorno, salutando Clementine e tutti i bimbi sul cancello dell’orfanotrofio. Come al solito il paesaggio africano che scorre lascia affiorare pensieri e sensazioni della giornata. “Alulùm, Alulum!…”. Che strana parola. Un suono così ancestrale e tribale, carico di storia e memoria. Forse lo stesso segnale che indicava concitato l’arrivo dei cacciatori di uomini dalla costa nell’entroterra. Suona quasi come “Al lupo, al lupo”, ed in effetti… eppure…“Alulùm…”. Un suono così antico, pronunciato candidamente dalle voci allegre ed innocenti dei bambini, che accolgono a braccia aperte i turisti ed i pallidi visitatori, ha un non-so-che di grottesco, paradossale. Ci penso e ci ripenso e capisco ciò che lo SPIRITO dice, ma la nostra testa non vuole capire. Forse è proprio questo che insegna l’Africa, è questo che insegnano i bambini, gli innocenti di tutto il mondo. “Alulùm, l’uomo bianco” è bianco e basta e non significa nulla se non bianco. E che c’è di strano, che c’è di male? Un bambino dice quello che vede senza giudizio, nè tantomeno pre-giudizio e accoglie con la speranza di ricevere caramelle e non catene, semmai incuriosito e divertito dai volti pallidi, dai capelli fini e dai peli su gambe e braccia che simpaticamente si premurano di tirare e staccare. Quante volte invece descrivendo un uomo Africano omettiamo di dire che semplicemente è “nero”, come se fosse un’offesa, un’ostentazione di razzismo. Ma il nostro assurdo imbarazzo è la vera offesa. Se solo imparassimo ad apprezzare la varietà dei volti degli uomini come una ricchezza, se solo avessimo la pura curiosità di chi vede nel “diverso”, nello straniero, qualcosa da scoprire e conoscere, non da ignorare o omologare, il razzismo non avrebbe neanche senso di esistere.

Arrivati all’albergo troviamo Gianandrea sempre ammalato, ma anche Luisella è febbricitante. A loro dire è normale che si ammalino in coppia. Sarà influenza? La causa della febbre è presto svelata quando Gianandrea si accorge che su una gamba ormai violacea è apparsa una piaga, a causa di una insignificante escoriazione procurata tre giorni prima mentre scaricava del materiale. Grande spavento! “Bhè almeno non è malaria”, si sdrammatizza. Ma allora, se non è influenza, cosa c’entra la febbre di Luisella? Direte voi. Misteri dei Sormani! Serve un medico, ma Gianandrea è restio “Oh attenti che non voglio mica lo stregone”. Ed infatti quello che arriva dopo mezz’ora è poco più di uno santone. Si presenta in tenuta da ginnastica, senza strumenti, nè medicinali. Controlla la gamba del malato e chiede se abbiamo medicine. Prontamente sfoggiamo tutte le nostre dotazioni farmaceutiche. Lui rovescia tutto sul letto ed inizia la “pesca”. Trova lo Zimox e infila una pastiglia in bocca a paziente, prende il paracetamolo e chiede: “Questo?”, “Per la febbre?” rispondiamo e rapidamente gli propina anche quello, mentre Gianadrea, inebetito, ingoia tutto senza fiatare. Siamo tutti quanti ammutoliti al capezzale del malato ad assistere a questa comica scena. Il luminare afferra la scatola dei Moment, mentre noi spieghiamo “Mal di testa”, e prontamente tenta di fare ingoiare l’ennesima pastiglia al malato… ma Luisella si ribella e lo blocca appena in tempo. Dopo le ultime indicazioni il nostro amico saluta e va, mentre tutti realizziamo che i tentativi in dialetto milanese da parte di Gianandrea di spiegare la funzione dei farmaci, venivano interpretati come indicazione di sintomi. Comunque la gamba non è affatto in buono stato e sta volta davvero pensiamo: speriamo che lo SPIRITO ce la mandi buona, anche sta volta!